Paolo Zegna: «Non più solo tessile a Biella»

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Paolo Zegna: «Non più solo tessile a Biella»
«Traghettiamo il distretto oltre la crisi.
E  puntiamo anche su food e turismo»
 
 

(3 feb) «Se oggi il cavallo non vuol bere, non bisogna certo cambiare le linee strategiche fatte di qualità e innovazione, penetrazione commerciale e ricerca di mercati nuovi. La speranza è che il cavallo cominci a sentire la voglia di bere, che la gente torni a comprare. Le imprese devono continuare a costruire per  essere pronte  al momento giusto, che arriverà».

E' la metafora con cui Paolo Zegna dà il via alla lunga intervista sul futuro del distretto tessile biellese: un incontro che si è svolto solo pochi giorni prima dell'apertura ufficiale di Milano Unica (avvenuta oggi), nella quale è stato ufficializzato il nome di Pier Luigi Loro Piana come successore proprio di Paolo Zegna alla presidenza del Salone. 

Zegna: «Non più solo tessile a Biella»
«Traghettiamo il distretto oltre la crisi. E puntiamo anche su food e turismo»

«Il momento è duro e la situazione tutt’altro che facile. Ma va vista nella sua cruda realtà. L’ho detto l’altro giorno a Sistema Moda Italia. Perché non sono i numeri che già conosciamo del 2008 con il -4,1% del tessile la cartina al tornasole. Se andiamo a chiedere alle aziende come vanno gli ordini oggi le percentuali sono ben più pesanti. Meglio sapere e far sapere al Governo che è alle prese con la crisi dell’auto: non è che noi siamo meno quattro e i motori sono meno sessanta. I dati noti non rispecchiano assolutamente la situazione. Del resto se oggi il cavallo non vuol bere, non bisogna certo cambiare le linee strategiche fatte di qualità e innovazione, penetrazione commerciale e ricerca di mercati nuovi. La speranza è che il cavallo cominci a sentire la voglia di bere, che la gente torni a comprare. Le imprese devono continuare a costruire per  essere pronte  al momento giusto, che arriverà».

Si annunciano mesi terribili da traghettare: che fare?
«Ahimè, ci sono aziende più solide, con fieno in cascina, finanziariamente strutturate, che meglio sopporteranno questa crisi, ed altre, invece,  in posizione più delicata perché la loro situazione  creditizia è complessa. In questi frangenti registriamo attenzioni più marcate da parte delle banche che fanno più fatica ad aprire i rubinetti, che chiedono più garanzie anche solo per confermare i crediti. Cerchiamo di resistere».

Il direttore generale di Unicredit Rodolfo Ortolani, giovedì scorso a Biella, ha spiegato che secondo l’osservatorio della sua banca la crisi si dipanera in 12 mesi...
«Ma nessuno lo mette per scritto. Speriamo che non sia troppo lunga. Il  2009 comunque passerà in questo modo, soprattutto per il tessile che domani presenta la primavera-estate 2010 e a settembre uscirà con le collezioni autunno-inverno 2010-2011. Oggi sono tutti con le pile scariche e quel che andremo a produrre nel resto dell’anno risentirà di questa pessima congiuntura. A settembre, se le  pile cominceranno a ricaricarsi, avremo un po’ più di respiro nel 2010. Ma è tutto da vedere».

Domani apre Milano Unica: è vero che avete registrato il 20% in meno di espositori?
«C’è un 20% in meno di spazi affittati: qualche azienza ha chiuso, altre hanno razionalizzato i costi e limitato gli stand ed altre hanno rinunciato. Una realtà che, non si può negare, va monitorata. Milano Unica deve continuare ad essere se stessa, perseguire la visione originale dell’unione che fa la forza. Ma certo dovrà interrogarsi sul futuro».

 

 La sua azienda rientra in uno dei cinque “azionisti”, Ideabiella: gruppo di imprese che va un po’ meglio?
«Anche Biella soffre come gli altri. Continuo a credere che la  “qualità alla biellese” avrà sempre un mercato, perché l’eccellenza premia. Ma oggi i clienti, pur sempre molto attenti, non riescono a mantenere gli ordini sui livelli a cui eravamo abituati...».

Tant’è che anche le aziende più blasonate fanno ricorso agli ammortizzatori sociali per coprire questa stagione di mancate commesse.
«Guardi, ciò che oggi ci sta più a cuore è riuscire a mantenere la nostra manodopera. Sono inutili gli incentivi al consumo: fino a quando non scatterà la molla di  un futuro più roseo, aiuti così modulati non rimetteranno in moto il mercato dell’abbigliamento, tantomeno quello nazionale. Più realisticamente pensiamo che il calo dell’attività si riverbererà inevitabilmente sulle maestranze, che sono parte del nostro know how, quel mondo fatto di persone che dobbiamo saper preservare in questa stagione di transito. Come sempre, dopo una crisi c’è una ripresa e alla ripresa dovremo a metterci lavorare di buona lena, possibilmente con le stesse maestranze con cui abbiamo fatto il percorso fino ad oggi. Ammortizzatori sociali, contratti di solidarietà, di cui si sta parlando, sono i temi giusti, risposte eccezionali ad eventi eccezionali che dimostrano che c’è un filo tenace che unisce il mondo dell’impresa e del lavoro».

Non c’è il rischio che si spezzi davvero la filiera produttiva in una fase in cui anche i piccoli terzisti di qualità dei grandi lanifici sono al palo?
«Non si può escludere nulla.  Ridimensionamenti e accorpamenti dobbiamo essere pronti a immaginarli. Mi auguro che non si esca dal tunnel a pezzi. Ma nulla sarà più come prima.  Ahimè, non si può pensare che si torni a quello che è stato il manifatturiero dell’epoca d’oro. Non credo che sarà più così».

Ma il Governo che fa? Lei è  anche vicepresidente di Confindustria, siede al tavolo di Smi  che ha lanciato un Sos a nome delle 58mila aziende che danno ancora un valore aggiunto di 10 milliardi di euro al Paese. Che atteggiamento avverte da parte del Governo?
«Quando ci sono poche risorse... Una risposta almeno formale alle proposte di Smi sarebbe dovuta venire. Nella sostanza, però,  si vede chiaramente come si faccia  fatica a mettere insieme quei pacchetti di risorse anti crisi. Se può consolare, risposte non sono arrivate a nessuno, non solo al tessile».

Ma per le auto le risorse sono state trovate.
«Il discorso auto ha fatto breccia perché la differenza col tessile è che il  segmento dei motori  si confronta con tutta l’Europa e gli Usa e i singoli Paesi sono intervenuti. Il tessile non ha questa specie di solidarietà europea e la “battaglia” è quasi solo italiana. Ciò non toglie e si è detto in Smi che il tessile-abbigliamento ha un’importanza almeno uguale se non superiore all’auto e corre dei seri  rischi di sopravvivenza. E ricordandoci che le risorse sono molto poche,  Smi metterà in campo un’azione propositiva coinvolgendo le regioni tessili più provate come Piemonte, Lombardia, Toscana e Veneto a sostegno di ammortizzatori sociali  più ampi. Un’azione per tornare dal Governo che si è dimostrato finora sordo: non chiediamo aiuti, ma sostegni alla salvaguardia della filiera produttiva. Un segno, il nostro,  di responsabilità non indifferente».

Governo sordo, Europa non da meno: il Made in non è un’emergenza ma l’introduzione resta sogno: è così?
«La maggioranza in Europa non c’è. Le pressioni sono continue, però...».

Nei progranmi del Governo c’era un punto ad hoc: è stato dimenticato?
 «Tra il chiedere, l’ottenere o il convincere ne passa. C’è un comitato molto attivo, c’è Confindustria che è sulla stessa linea, c’è un ministro, Scajola, perfettamente al corrente. Però il pallottoliere europeo non è a nostro favore. Si può spingere una conta definitiva, ma potrebbe anche arrivare una risposta negativa con la chiusura del dossier che seppellirebbe  per chissà quanti anni il Made in. Gli stessi francesi, che ritenevano alleati,  non hanno esplicitamente escluso la strada della facoltatività del Made in.  Purtroppo quelle decisioni non possiamo prenderle noi».

I primi passi del presidente Usa Obama fanno presumere che si vada verso provvedimenti protezionistici a sostegno dell’economia americana: rischia anche il tessile?
«Non lo so. A Davos  si stava discutendo su come evitare politiche protezionistiche da parte dei singoli. Escludere che ciò avvenga però non è possibile.  Cercheremo di fare il possibile affinchè quel pericolo venga scongiurato».

Lei è il responsabile  dell’internazionalizzazione in Confindustria: ci sono mercati oggi più reattivi?
«Ci sono mercati con tassi di crescita migliori: parliamo di Cina, Honk Kong, Brasile. Non sono tantissimi e soprattutto non sono in grado di colmare i vuoti odierni, ma abbiamo seminato e alcune aziende che si sono mosse con efficacia ne hanno un beneficio».

Cosa potrebbe fare il Biellese oggi per aiutarsi?
«Credo che l’industria biellese sia diventata forte perché ha avuto il coraggio di investire nella sua manodopera che è diventata parte decisiva del processo e che oggi dev’essere al centro delle nostre attenzioni. Non dobbiamo cedere alla tentazione di cambiare l’indirizzo strategico, ma aggiungo che bisogna incentivare l’associazionismo e la capacità di lavorare insieme. Ma non bisogna chiuderci in noi stessi sapendo che dopo il temporale arriverà il sereno e sono certo che avremo lunga vita».

Ma puntare ancora e sempre sul tessile di qualità non è riduttivo?
«Per chi fa tessile no. Ma come territorio serve più determinazione  verso il turismo che è settore trainante del Pil italiano. Dobbiamo verificare seriamente se questo complesso di attività possa essere indirizzata su un piano pluriennale di vera crescita. Servono  studi professionali  su programmi  e obiettivi, su concorrenza e possibilità.  Verificare, insomma, se questo settore può davvero essere un’alternativa credibile in vista della contrazione del tessile».

Gli imprenditori ci starebbero ad investire nel turismo?
«Verificata la serietà e l’ampio respiro delle attività perché no?  Credo che tanti biellesi siano attaccati al territorio e che, se vedranno nuove opportunità, non mancheranno  di far la loro parte. Del resto si parla del futuro di tutti noi».

Vede altri settori produttivi nei quali investire per il Biellese?
«No. Uno deve occuparsi delle cose che sa fare meglio, che potrebbe fare meglio, che potrebbe comunicare meglio.  Inventarsi un nuovo mestiere non è facile. Ci sono nel Biellese tante piccole punte di eccellenza, nella produzione del food per esempio, ma molto limitate, poco conosciute e che si muovono in maniera troppo isolata. Bisognerebbe fare una cernita, poi valorizzare le scelte e moltiplicarne valore e produzione e infine commercializzarle in concorrenza con il mercato».

Resterà presidente di Milano Unica anche nel 2009?
«Milano Unica è un po’ anche figlia mia, ci credo molto. Ma dopo quattro anni è giunta l’ora di un nuovo presidente che verrà annunciato martedì.  Ma sarò una spalla sicura per lui».

Roberto Azzoni

3 febbraio 2009

 

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