Tragedia al Caminosenza colpevoli

Tragedia al Camino<BR>senza colpevoli
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«La richiesta di archiviazione dev’essere accolta...». Così, al termine di un’ordinanza di tre pagine, il giudice delle indagini preliminari, Claudio Passerini, ha archiviato  l’inchiesta sulla valanga del Camino che il 6 marzo dell’anno scorso ha travolto una comitiva di ventuno freeride, ne ha sepolti undici, ne ha uccisi due (Emanuele Mosca, 65 anni, odontotecnico di Graglia, e Carlo Graziano, 26 anni, neolaureato di Crescentino) e ne ha feriti in modo lieve altri cinque.«Nulla - scrive il giudice - rendeva prevedibile, secondo una considerazione ex ante (da prima, cioé prima del verificarsi dell’evento, ndr) un concatenarsi di eventi valanghivi di tali dimensioni (tre distacchi in rapida successione, il terzo con un fronte di circa 300 metri), con conseguente esclusione di qualsiasi profilo di responsabilità penale in carico agli indagati...».

Archiviazione. Il giudice Passerini ha così accolto la richiesta di archiviazione depositata a novembre dal pubblico ministero, Francesco Alvino. Ha ritenuto altresì valide sia la consulenza tecnica ordinata a suo tempo dalla Procura ed eseguita da due guide alpine del Canavese («... personale - ribadisce - professionalmente idoneo, in quanto appartenente al medesimo settore cui appartengono gli indagati». Un particolare, questo, contestato dalle parti lese che sostenevano potesse esistere un rapporto quantomeno di  conoscenza tra consulenti e indagati che avrebbe potuto condizionare le conclusioni peritali) sia il supplemento di perizia depositato dai difensori dei tre indagati (avvocati Luca Recami e Davis Bono) che concordava con quella ordinata a suo tempo dal piemme. E’ così caduta l’accusa di omicidio colposo nei confronti di Stefano Perrone, Andrea Mettadelli e Teodoro Bizzocchi, tutti biellesi, due guide alpine e un’aspirante guida, che avevano organizzato la gita di eliski (discesa con gli sci in neve fresca, trasporto in quota con l’elicottero). Gli attuali margini di manovra processuali dei familiari delle vittime (rappresentati dagli avvocati Francesco Alosi di Biella, Corinne Margueret di Aosta ed Enrico Scolari di Ivrea) si sono fatti molto più stretti e complessi. Resta il ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, una soluzione che le parti civili non hanno ancora preso in esame: «Nei prossimi giorni decideremo il da farsi...», si limita a dire l’avvocato Alosi.
Il giudice. Secondo il giudice Passerini, le conclusioni del Pubblico ministero e dei consulenti, laddove escludono profili di colpa da parte degli indagati, «sono da condividere, in quanto sorrette da motivazione obiettiva e logica, redatta sulla base dell’osservazione dello stato dei luoghi, dall’analisi della stabilità del manto nevoso in relazione alla sua composizione stratigrafica, nonché alla temperatura, esposizione e pendenza dei luoghi al momento del fatto, tutte circostanze che, raffrontate sia con la decisione di effettuare comunque l’escursione, sia con la successiva gestione e concreta organizzazione dei soccorsi ad opera degli indagati, hanno evidenziato il rispetto delle condizioni di sicurezza esigibili in relazione alla natura dell’attività esercitata (ritenuta altamente rischiosa ma giuridicamente autorizzata anche dallo stesso piemme Alvino)».
Le conclusioni. Il giudice osserva inoltre che, il giorno dei fatti, «il bollettino valanghe prevedeva un “rischio 3”, ma tale livello di rischio, in una scala da uno a cinque, non impone l’astensione dell’attività (come il rischio 5), prevedendo che la possibilità delle gite sciistiche sia “limitata”, condizionandola ad una “buona capacità di valutazione locale”. Tale valutazione - prosegue Passerini - effettuata dagli indagati, è risultata immune da censure, avuto riguardo alle circostanze che gli stessi, dopo aver effettuato un sopralluogo anche il giorno precedente, hanno avuto modo di constatate che la temperatura alla vetta del Camino era abbondantemente sotto lo zero termico e tutto il pendio era in ombra, senza dunque il rialzo termico pur previsto (stante l’ora in cui la gita aveva avuto inizio e l’assenza di irraggiamento solare, nonché la natura “polverosa” della neve). Inoltre, il pendio, classificato come ripido, era in assenza di vento, era già stato sciato anche il giorno precedente (importante ed intuitivo fattore di assenza di rischio valanghe per il giorno dei fatti, stante la già avvenuta “tracciatura” del percorso) e si poteva constatare che la pendenza sfavoriva altresì critici accumuli di neve...».

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